Calvino nasce nel 1923 e trascorre la sua adolescenza in Sanremo; da adulto lo troviamo in giro per il mondo, da New York a Copenaghen, Parigi, Baltimora, al Giappone etc. Nella Sanremo della sua adolescenza, pur frequentata da un turismo di élite si sviluppava una vita di relazione, di convivenza comunitaria fortemente radicata; al confronto il vivere nelle grandi metropoli gli sarà apparso alienante; città senza confini spaziali e temporali dentro cui si muoveva una moltitudine anonima, non esseri che potessero sviluppare relazioni umane ma semplici utenti.
Scrive Pasolini: “Le città invisibili” sono l’opera di un uomo anziano che ha visto passare la vita e sogna una città migliore e tutte le città che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra una città ideale e una città reale …
Calvino pubblica “Le città invisibili” nel lontano 1972 quando anche qui da noi era già palpabile il contrasto tra la città ideale l’
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città; la prima era palpitante di comunità, vedeva i bambini giocare per strada sotto il vigile sguardo delle mamme affacciate alla finestra e le persone si riunivano al classico angolo della strada o in un centro d'intrattenimento, per parlare con gli amici e organizzare attività di cultura intrattenimento, per ozio.Oggi invece, per dirla con le parole di un antropologo, si deve parlare di “Spazio virtuale della cultura urbana”: significa avere a che fare con strutture liquide, ovvero con sistemi di organizzazioni sociali che non rappresentano quasi mai istituzioni stabili, bensì un insieme di situazioni, cadenze irregolari, confluenze, incontri; in sostanza sin dagli anni '90 il processo della cultura urbana ha visto scendere in campo le cosiddette “culture urbane virtuali”, per il fatto che internet è divenuto il principale spazio delle proprie attività sociali. Dunque le dinamiche comunicative si stanno trasferendo su uno spazio “virtuale” ed ecco costruita l’
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città Scrive Francesco: nell’anti
città si perdono le attività d'incontro e scambio sociale; la città umana invece con lo sguardo vede l’altro come concittadino; l’affollamento e l’anonimato sociale che si vive nelle grandi città possono provocare l’anonimato delle proprie radici e ciò porta l’individuo a comportamenti antisociali.Una vita sociale positiva e benefica fa sì che gli abitanti, non più utenti, riescono a costruire una rete di comunione e di appartenenza, la quale “diffonde luce in un ambiente a prima vista invisibile”
Le
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città non sono strutture aliene venute dal nulla per distruggere ogni afflato umano; siamo noi a costruirle e dunque sta a noi decidere quale ruolo vogliamo svolgere sul palcoscenico della vita.N.A.