NINO ARICO'. SIMBOLISMO RELIGIOSO


Segni e simboli costituiscono un argomento affascinante ma non è facile carpirne genesi e significato perché nel corso dei millenni, insieme a festività religiose e divinità, sono stati ampiamente esportati e importati dai vari popoli e dunque portano in sé svariate contaminazioni culturali.
Alcune religioni ne abbondano altre meno. Non c'è chiesa cristiana che manchi di crocefissi, dipinti e statue; tutto ciò non si riscontra in un tempio ebraico ove prevalgono i simboli numerici, i colori, la Menorah, gli arazzi. Addirittura in un tempio islamico la presenza di una sola statua sarebbe blasfemia perché per la religione islamica solo Dio può creare, l'uomo può, sbozzando pietra o legno, fare delle pessime imitazioni prive di alcuna sacralità.
D'altra parte quando Gesù si congedò dai suoi Apostoli disse loro: andate a portare la buona novella, costruite la mia Chiesa. E alcuni di essi chiesero: “Rabbi, maestro, dove, come costruiremo la tua Chiesa. ?”

Ed egli rispose: “Voi siete la mia Chiesa, la mia Chiesa è dentro di voi”; quindi li invitava a una crescita spirituale e individuale; come dire: siete nati bruchi ma potete diventare farfalle. Non disse loro di costruire sontuosi edifici e vestirsi di broccato e raso quali mediatori tra l'uomo e Dio, ma che ogni uomo dovrebbe farsi maestro di umanesimo. Al catechismo ci insegnavano che Dio è in cielo in terra e in ogni luogo, quindi anche nel sorriso di un bimbo, nel fruscio delle foglie, nel gorgoglio di un ruscello, in un sasso immoto sotto il quale magari brulica la vita. E dunque quando si vuole rivolgere il pensiero a Dio, se ne può avvertire la presenza ovunque, qualunque sia il culto religioso scelto. La sorgente del creato “Essere” non ha volto né sembianze, non è il Dio delle “lacune” a cui attribuire tutto ciò che non comprendiamo, né il Dio delle grazie al quale chiedere la guarigione se non persino una vincita al superenalotto: è somma intelligenza e complessità: lo si scopre solo attraverso la fede o la metafisica. Heidegger ritiene che la vera chiave di lettura del mito della caverna di Platone non sia paideutica né gnoseologica ma quella ontologica, attraverso la quale possiamo, in una qualche misura, direi, carpire i vari gradi di disvelamento dell'Essere.
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