Specializzazioni mediche: le Regioni rilanciano gli “ospedali di insegnamento” dove formare tutti gli specializzandi in più rispetto a quelli finanziati dal Governo.
<< Il piatto piange di oltre 2.300 posti tra l'offerta del Governo e le richieste delle Regioni >>
. La soluzione allora secondo i governatori è una: dare
l'opportunità ai laureati in medicina e chirurgia di accedere al servizio sanitario
pubblico seguendo un percorso formativo per le specialità presso le aziende
sanitarie e ospedaliere del Ssn. La proposta inviata il 5 giugno scorso al
nuovo Governo si discuterà il prossimo 18 giugno. Alle Regioni non bastano i
6.200 contratti di formazioni che il Governo ha deciso di finanziare per l'anno
accademico 2017-2018, ne vogliono almeno 8.569 per far fronte al reale
fabbisogno.
Ma di tasca loro più di qualche
centinaio aggiuntivo rispetto ai 2.369 che mancano all'appello non ce la fanno
a finanziarli.
La soluzione allora secondo i
governatori è una (e la propongono in un documento inviato al Governo per un
possibile accordo in Stato-Regioni): dare l'opportunità ai laureati in medicina
e chirurgia di accedere al servizio sanitario pubblico seguendo un percorso
formativo finalizzato all'acquisizione della specialità presso le aziende
sanitarie stesse. Gli "ospedali di insegnamento" insomma, ipotizzati
anche nel Patto per la Salute e chiesti da tempo da numerosi sindacati medici
proprio per risolvere il problema dell'imbuto delle scuole di specializzazione.
D'altra parte che di scuole di
specializzazione ce ne volessero ben di più di quelle finanziate attualmente
dal Governo le Regioni lo avevano ben detto nella bozza di accordo approdata in
Stato-Regioni il 10 maggio, ma su cui è stato chiesto il rinvio e dopo pochi
giorni è arrivata la firma del decreto sui 6.200 posti a bando.
Ora rilanciano. E la loro
richiesta, formalizzata nella nuova proposta inviata il 5 giugno al Governo e
che si discuterà in una riunione tecnica il prossimo 18 giugno, si basa sul
fatto che da anni oramai si registra uno scostamento negativo tra il numero
annuale di laureati in medicina e chirurgia e il numero annuale di contratti di
formazione specialistica finanziati con risorse statali.
L'effetto è di produrre un
elevato contingente di giovani medici che ogni anno non riesce ad accedere alla
formazione post lauream e una carenza di specialisti necessari al Servizio sanitario
nazionale.
Secondo le Regioni infatti con
sempre maggior frequenza i concorsi indetti per la copertura di posti di
dirigenti medici presso il Servizio sanitario regionale/provinciale, in
particolare nelle specialità di Anestesia, rianimazione e terapia intensiva e
del dolore, di Radioterapia, di Ginecologia e ostetricia, di Pediatria e di
Medicina di emergenza e urgenza, registrano un numero di candidati troppo
basso, "tale da non consentire la copertura dei posti vacanti. Tale
situazione - ammoniscono i governatori - nel volgere di poco tempo potrebbe
compromette seriamente la garanzia di erogazione delle dovute prestazioni
assistenziali ai cittadini".
In più, il nuovo sistema di
accreditamento delle scuole di specializzazione garantisce maggiore equità e
qualità formativa, ma può ridurre ulteriormente il numero di posti disponibili
e come se non bastasse c'è anche il fatto che la distribuzione dei posti agli
Atenei non avviene sempre tenendo conto delle priorità segnalate dalle Regioni.
Da qui la proposta. Che,
sottolineano gli stessi governatori, non è nuova perché le Regioni l'avevano
già presentata nel 2014, quando era stata bocciata dal Governo, ma che ora
appare come l'unica soluzione possibile.
Le Regioni e le Province autonome
sottolineano come all'articolo 22 del Patto per la Salute 2014-2017 sia stata
introdotta la possibilità di contemplare "un innovativo accesso al Ssn da
parte delle professioni sanitarie".
In questo senso ricordano,
appunto, la loro proposta del 2014, che offriva l'opportunità ai laureati in
medicina e chirurgia di accedere al servizio sanitario pubblico, e configurava
a latere la possibilità per questi dipendenti "di intraprendere un
percorso formativo ad hoc finalizzato all'acquisizione della specialità presso
le aziende sanitarie stesse. Tale proposta non è stata accolta, tuttavia le
Regioni e le Province autonome ribadiscono come tale ipotesi rappresenti una
concreta ed attuabile soluzione alle problematiche attuali".
Quindi, nella bozza di decreto
proposta dalle Regioni, oltre ad "aprire" all'insegnamento anche le
porte degli ospedali, il fabbisogno resta quello già indicato nell'ipotesi
sospesa a inizio maggio.
La distribuzione dei contratti
dovrà seguire precisi criteri elencati:
- il riparto dei contratti di
formazione specialistica deve essere oggetto di confronto congiunto tra
Regioni, Province autonome, ministero della Salute e ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca;
- la distribuzione dei contratti
di formazione specialistica, che risultano essere complessivamente in numero
inferiore rispetto alle esigenze espresse dalle singole Regioni e Province
autonome, deve almeno rispettare proporzionalmente il fabbisogno stesso,
prioritariamente con riferimento alle Scuole di specializzazione degli Atenei
insistenti nel territorio regionale stesso o con i quali vi sono in essere
rapporti convenzionali (fermo restando il limite dettato dalla capacità
formativa delle scuole stessa);
- per le specialità di Anestesia,
rianimazione e terapia intensiva e del dolore - Radioterapia - Ginecologia e
ostetricia - Pediatria - Medicina di emergenza e urgenza, per le quali si
registra una difficoltà di reperimento per il SSN, il fabbisogno espresso dalle
Regioni/Province deve essere pienamente soddisfatto (fermo restando il limite
dettato dalla capacità formativa delle scuole interessate).